giovedì 26 luglio 2007

Il Paradiso all'improvviso - Prima parte

Premessa: il titolo di questo raccontino è lo stesso di un film di Pieraccioni, ma vi assicuro che quando ho scritto queste cose non conoscevo il film, forse mi era solo rimasta impressa come frase ed ho deciso di utilizzarla. Seconda cosa, è un racconto un po' sopra le righe. Volevo rassicurare chiunque abbia a cuore la mia salute, che non faccio uso di droghe pesanti e nel momento in cui scrivevo nemmeno di quelle leggere, quindi è tutta roba inventata dalla mia mente bacata! Terza cosa, dividerò il racconto in due parti che pubblicherò con qualche giorno di distanza, quindi dovete attendere per sapere come va a finire (certo, se morite dalla voglia di saperlo, postate un messaggio e ve lo dirò subito, mi raccomando, non tagliatevi le vene..)
Buona lettura!

Sono morto da 15 minuti e già mi sento polvere vecchia. Non per via della morte, o di quello che ho incontrato dopo di essa, ma per via di quello a cui sto assistendo ora.
Sono stato ucciso da una lastra di vetro che si è staccata da un edificio in rovina. Non ho fatto in tempo a scansarmi e mi sono beccato un pezzo di vetro di 70 cm, conficcato nel cuore. Un attimo di smarrimento e mi sono ritrovato in una stanza piena di fumo. No, non sto cercando di farvi immaginare il paradiso così come nei film della Walt Disney. Il fumo non era nebbia celeste, bensì proveniva da un grosso sigaro cubano che un altrettanto grosso signore si stava godendo su un’altrettanta grossa poltrona bianca. Il signore ha un lungo camice bianco e una barba grigia che gli arriva fino ai piedi. Mi sono avvicinato e gli ho chiesto “Dove mi trovo?”. Ha tentato di rispondermi, ma il fumo gli è salito alla gola e ha cominciato a tossire come un indemoniato. Quando si è ripreso mi ha detto “Sei in una sala d’aspetto. Sei appena morto, e si è riunita un’assemblea per decidere il tuo destino.” Spegne il sigaro. Il fumo comincia a scomparire e dietro alla poltrona appaiono tre porte: sulla prima c’è scritto SERIE A, sulla seconda SERIE B, sulla terza SERIE C.
“Guarda in quel teleschermo. Potrai vedere quello che sta succedendo sulla TERRA.”
Mi giro e comincio a guardare in uno schermo gigante, una specie di finestra sul mondo.
Ci sono io a terra, è appena arrivata l’autoambulanza, gli infermieri mi stanno alzando. A lavoro finito, la vettura va via, e nella strada riprendono le solite attività. Prendo una specie di telecomando, ci sono una serie di frecce. Mi giro indietro per chiedere spiegazioni, ma il grosso signore si è appena addormentato. Pigio sulla freccia rivolta verso l’alto. Sullo schermo appare la mia casa. C’è mia madre che sta preparando il pranzo in cucina. Squilla il telefono. Alza la cornetta e ascolta quello che l’interlocutore gli sta dicendo. L’espressione del volto diventa sempre più sconvolta, il colorito sempre più pallido. Annota un indirizzo, e riabbassa la cornetta. Si precipita in salotto, e si getta sul divano accanto a mio padre piangendo. Mio padre si mette le mani nei capelli, afferra le chiavi della macchina e insieme vanno via in fretta. Ho sempre cercato di immaginare come avrebbero reagito i miei genitori alla notizia della mia morte. Ho sempre pensato che sotto sotto sarebbero stati contenti, meno multe, colloqui e figuracce con i professori. Invece, mia madre era davvero sconvolta. Pigio di nuovo sullo stesso tasto, e appare la casa della mia ragazza, Daniela. Ah, lei è l’unica cosa che mi dispiace perdere. E’ sul divano. Sta leggendo una rivista per donne. E’ stupenda con quei pantaloni attillati e quel micro top strettissimo. E’ l’unica ragazza che conosco che anche a dicembre veste così scollata.
Bussano alla porta. Che peccato interrompere quell’accavallamento di gambe così perfetto. Va ad aprire. Oh, quello è Mirko, il mio migliore amico. La mia unica persona fidata. Le sta dicendo qualcosa. Ora si abbracciano. Oh, ma non vi pare di esservi abbracciati un po’ troppo stretti? Oh, Mirko, calmo con le mani. Daniela accenna qualche smorfia di dolore. Si siedono insieme sul divano. Si baciano. Questa è una di quelle scene che ti immagini mille volte, ma che mai e poi mai avresti potuto credere che si potesse avverare davvero. Insomma, il tuo migliore amico insieme alla tua ragazza. Per la verità, sono arrabbiato più per Mirko che per Daniela. Diciamo la verità, da Daniela me l’aspettavo, ma mai avrei potuto pensare che il mio amico cedesse. E’ vero, lui era un po’ geloso del fatto che la più bella ragazza di tutta la scuola stesse con me, sfigato e senza una lira, piuttosto che con lui, ricco e perfettino. Ma non credevo potesse arrivare a tanto. Mi dicevo che Daniela era troppo particolare per stare con uno come Mirko. Solo ora mi rendevo conto. Daniela era troppo particolare anche per me. Beh, per la verità, particolare forse è una parola troppo gentile. “Puttana” forse rende meglio l’idea. L’adoravo ma dentro di me lo sapevo che alla fine sarebbe successa una cosa del genere, ma non credevo proprio il giorno del mio funerale.
Disgustato pigio nuovamente sulla freccetta e appare una casa che non conosco. C’è una signora, non riconosco neanche lei, anche se mi sembra di averla già vista. Anche la casa, pensandoci bene mi è familiare. Probabilmente è la casa di qualche compagno di scuola. Squilla il telefono. La signora risponde e poi riabbassando urla, come se volesse chiamare qualcuno al telefono. Scende Ilaria. Ilaria è una mia carissima compagna di classe, simpatica, intelligente, interessante ma bruttina. Anche bruttina è una parola troppo gentile. “Un cesso” anche in questo caso rende meglio l’idea. Più volte mi hanno informato della sua cotta per me, e più volte mi sono accorto delle battutacce che i miei compagni le dicevano. Da parte mia, mi limitavo a parlargli ogni tanto e ad essere carino, perché, in fondo, cosa mi aveva fatto di male? Alza il telefono, e si ripete la solita prassi. All’inizio volto sconvolto, poi colorito leggermente sbiancato e dopo un po’ guance rosse e sconcertate. Abbassa il telefono, annotando qualcosa. Zummo un pochettino e scopro che c’è scritto l’indirizzo di un chiesa e un orario. Il mio funerale. Ilaria è frastornata. Si getta sul divano e abbraccia con forza la madre, che ancora non ha capito quello che sta succedendo. Non piange, ma guarda nel vuoto con quegli occhi talmente smarriti e disorientati che ti fa venire voglia di andare lì e di dirle “non piangere, vedrai che ti passera presto. A tutti passerà presto.” E invece no. A lei non passera tanto facilmente. Guarda nel vuoto, e sento una starna sensazione, come se riuscissi a leggerla dentro. Quella ragazza mi ama veramente, mi venera, mi porta dentro di se come un amante impossibile e irraggiungibile. Non è certo l’amore che poteva provare Daniela. No, quella è tutt’altra cosa. Come è strano il fatto che l’unica persona che sia stata in grado di farmi commuovere per la mia morte sia stata quella in cui meno credevo. “Ti voglio bene Ilaria e non mi dimenticherò di te”.

Continua...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bello il racconto e voglio proprio sapere come finisce...

Secondo me lui torna in vita grazie all'amore che scopre di provare per Ilaria.
O magari entra nella porta "Serie C" ed è costretto a guardarsi tutte le partite di Serie C (mammamia che inferno...)
Bah! Staremo a vedere... Anzi a leggere :P

Baci,
Cloud

P.s. Cmq potevi dire che hai cominciato a fare uso di droghe... (la roba tra parentesi l'ho saltata senza leggerla pensando fosse inutile :D)

Anonimo ha detto...

Scrivi bene, non smettere, molto più che "del potenziale"... Ornella